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L’insostenibile industria del salmone alla conquista dei mari

“L’allevamento dei Salmoni oltre che all’impatto ambientale, può sfuggire anche al controllo con l’immissione in mare nel caso di organismi OGM di varianti ALIENE ! Nell’immagine riportata e allegata all’articolo di Slow Food , i presunti Salmoni sono in realtà dei ” Merluzzotti” che nuotano gioiosamente in gruppo! Si segnala la svista ,ma si sottolinea anche il problema aggiuntivo dei Salmoni OGM che potrebbero essere una sciagurata realtà degli allevamenti industriali.”

Il salmone è il nuovo petrolio della Norvegia. Lo dicono i numeri: nel 2016 il regno scandinavo ha prodotto il 54% del salmone proveniente dalle acque atlantiche e ne ha esportate 1,1 milioni di tonnellate per un valore di 7,6 miliardi di dollari.Così, come spiega il portale d’informazione marina Mer et Marine, molti imprenditori si stanno convertendo all’allevamento di salmone dopo che l’altra risorsa naturale, il petrolio, ha smesso di rappresentare la manna dell’industria norvegese degli ultimi quarant’anni. Nelle calme acque dei fiordi, le aziende di piscicoltura si moltiplicano: sempre più grandi, sempre più bisognose di infrastrutture e di navi.

I cantieri che ieri realizzavano le navi da rifornimento per le piattaforme petrolifere, oggi producono navi per trasportare il pesce simbolo della ripresa. Tuttavia l’industria del salmone è alle prese con i problemi tipici degli allevamenti intensivi. La concentrazione dei pesci ha causato un’epidemia di pulci di mare, che sta generando un preoccupante impatto economico: a causa dei parassiti, un salmone da allevamento su cinque muore prima di essere giunto a maturità.

Eppure i norvegesi non si sono abbattuti e, forti della propria esperienza in mare aperto, hanno pensato di spostare gli allevamenti ittici dalle acque stagnanti dei fiordi, esposti alla diffusione di pulci di mare, al largo della costa.

Spazi più ampi danno la possibilità di costruire allevamenti più grandi. Ma per evitare la fuga di salmoni in mare aperto (immessi in natura, infatti, i salmoni da allevamento possono incrociarsi con quelli selvatici, dando origine a esemplari più deboli che non riescono, ad esempio, a risalire i fiumi) gli allevamenti devono essere allo stesso tempo produttivi e competitivi a livello tecnologico. Queste accortezze sono state inserite nel bando pubblico lanciato dalla Norvegia, che ha già avuto un enorme successo anche per via dei prezzi delle concessioni rilasciate per 15 anni a prezzi sei volte inferiori a quelli praticati solitamente.

Tra i progetti presentati spicca Ocean Farm 1, una gabbia lunga centinaia di metri e pesante quasi 8 mila tonnellate, completamente automatizzata per la gestione dell’alimentazione, la pulizia e lo smaltimento dei pesci morti. Costruito in Cina, il sistema ha una capacità di produzione di 1,6 milioni di salmoni l’anno e sarà messo in funzione già nel prossimo gennaio.

Le operazioni di trasporto della Ocean Farm 1

«I norvegesi non hanno capito che aumentando gli impianti il problema rimane cosa dare da mangiare a questi salmoni» spiega Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico di Slow Fish. «Per allevare un chilo di salmone, infatti, ci vogliono 5 kg di altri pesci. Una richiesta insostenibile, considerato che i nostri mari soffrono già di overfishing. Inoltre gli allevamenti intensivi di salmone sono un altro duro colpo alla biodiversità marina: preferendo gli allevamenti intensivi si punta su poche specie animali a scapito del pesce inteso come bene comune. Si dà la priorità alla logica business-oriented, piuttosto di proteggere una risorsa del mare che appartiene a tutti, non solo alle imprese».

Fonte: slowfood.it

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