La fine dell’era della plastica usa e getta presa in considerazione all’UN Environment Assembly L’inquinamento marino è stato uno dei temi centrali dell’UN Environment Assembly dell’ United Nations environment programme (Unep) tenutasi a Nairobi e, in uno dei documenti preparatori del summit ambientale, l’Unep ha evidenziato che «L’inquinamento marino si ritrova in tutti gli oceani del mondo, anche nelle fregion i più remote. L’aumento continuo della quantità di rifiuti solidi che producono gli esseri umani e la grande lentezza con la quale questi rifiuti si degradano comportano un aumento progressivo della quantità di rifiuti che si trovano in mare, nei fondali marini e lungo le coste in tutto il mondo».
L’Unep ricorda che «Le attività umane a terra sono le principali fonti di inquinamento marino. Si tratta in particolare dello sversamento di rifiuti lungo le coste, dei rifiuti sulle spiagge e della decomposizione delle imbarcazioni. Le inondazioni e altri avvenimenti legati alle condizioni meteorologiche eliminano questi rifiuti in mare, dove sfociano o sono portati dalle correnti. Le principali fonti marittime dell’inquinamento marino comprendono l’attrezzi da pesca abbandonati, i trasporti navali e lo sversamento legale e illegale. Tutto questo inquinamento provoca gravi perdite economiche. Le comunità costiere fanno fronte a spese crescenti in materia di pulizia delle spiagge, di salute pubblica e di eliminazione dei rifiuti. L’industria marittima è influenzata dai costi più elevati associati alle eliche bloccate, ai motori danneggiati e alla gestione dei rifiuti nei porti. L’industria della pesca è danneggiata negli attrezzi e dalle catture ridotte e contaminate».
Inoltre, l’inquinamento marino provoca una perdita di biodiversità e danneggia i servizi eco sistemici: «Gli attrezzi da peasca abbandonati possono continuare a uccidere la vita marina e a soffocare gli habitat faunistici – fa notare l’Unep – I pesticidi e altre tossine aderiscono a delle minuscole particelle di plastica sversate (microplastiche), che possono essere ingerite accidentalmente dalla piccola vita selvatica. Una volta ingerite, le tossine si moltiplicano nella misura in cui risalgono la catena alimentare, si accumulano negli uccelli, nella vita marina ed eventualmente negli esseri umani».
Il Global Programme of Action for the Protection of the Marine Environment from Land-Based Activities, avviato nel 1995, punta a orientare le autorità nazionali verso la prevenzione, la riduzione, il controllo r l’eliminazione del degrado del mare dovuto alle attività antropiche terrestri, Nel 2017 l’Unep ha lanciato anche la #CleanSeas campaign che esorta i governi ad adottare politiche miranti a ridurre l’utilizzo di plastica e di chiedere all’industria di ridurre gli imballaggi di plastica e di progettare prodotti che comportino meno rifiuti, ma chiede anche ai consumatori di cambiare le loro abitudini riguardo ai rifiuti«Prima che al nostro mare non vengano causati danni irreversibili«. L’Unep è al lavoro anche sul Regional Seas programme che punta a rafforzare la protezione del mare in tutto il mondo.
E’ in questo quadro di grande rischio e difficoltà che all’UN Environment Assembly di Nairobi i ministri dell’ambiente hanno sottoscritto un documento nel quale si afferma che l’afflusso di plastica in mare deve essere fermato. Una dichiarazione accolta favorevolmente da scienziati e ambientalisti ma che fanno notare che è di fatto un accordo sui principi che non fissa obiettivi e scadenze. I ministri dell’ambiente rispondono che la dichiarazione è in realtà una pietra miliare perché indica a governi, industria e opinione pubblica che è necessario un grande cambiamento.
Il ministro norvegese dell’ambiente, Vidar Helgesen (Partito Conservatore), che a Nairobi è stato il leader del fronte che ha imposto di discutere dell’inquinamento marino da rifiuti di plastica (Marine Litter) ha detto a BBC News: «Ciò per cui eravamo venuti qui era la necessità di agire, il punto di partenza era quello di puntare era puntare a zero immissioni di rifiuti in mare, quindi è stato fatto effettivamente un passo avanti per l’immissione zero di plastica nell’oceano». Ma Helgesen ha dovuto ammettere che quello fatto in Kenya è solo l’inizio dell’azione contro il marine litter.
Secondo Li Lin, del Wwf International, all’UN Environment Assembly «Si sono visti progressi abbastanza buoni sui rifiuti marini e sulle microplastiche. Vorremmo solo vedere questo accordo attuato da governi, imprese, ONG e consumatori il più rapidamente possibile, perché questo problema è urgente». Ambientalisti e scienziati sono preoccupati perché sappiamo che la plastica sta già danneggiando la vita marina, ma non sappiamo quanti danni possa subire ancora prima che possano essere colpiti interi ecosistemi. A questo problema, derivante dalla cattiva gestione e dal mancato riutilizzo di rifiuti/risorse, si aggiungono i cambiamenti climatici, l’acidificazione, le zone morte e gli altri tipi di inquinamento che satanno modificando rapidamente – e in peggio – mari e oceani.
I delegati all’UN Environment Assembly sperano che questi pericoli e le crescenti prese di posizione spingano i governi ad adottare rapidamente politiche nazionali per gestire i rifiuti di plastica e ridurne la quantità e il consumo, invece che aspettare che dall’Onu arrivino risoluzioni miracolose. Ma fermare i rifiuti di plastica richiederà nuove tecnologie e nuovi atteggiamenti da parte dei consumatori e tra le molte sfide legate all’inquinamento che l’umanità deve affrontare, questo è senza dubbio uno dei più difficili.
Ne è convinto anche Sir David Attenborough che avverte: «Gli oceani del mondo stanno attualmente affrontando la più grande minaccia nella loro storia». Nell’ultimo episodio di Blue Planet II, che verrà trasmesso il 10 dicembre in prima serata dalla BBC, Attenborough lancia un forte allarme sullo stato dei nostri oceani che sono già stati gravemente danneggiati dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento da plastica e dalla pesca eccessiva.
In un’intervista il grande documentarista ha detto: «Per anni abbiamo pensato che gli oceani fossero così vasti e che i loro abitanti fossero così infinitamente numerosi che non potessimo fare nulla che avesse un effetto su di loro. Ma ora sappiamo che era sbagliato. Ora è chiaro che le nostre azioni stanno avendo un impatto significativo sugli oceani del mondo. Ora sono minacciati come mai prima nella storia umana. Molte persone credono che gli oceani abbiano raggiunto un punto di crisi, Come esseri umani abbiamo la responsabilità di prevenire ulteriori danni. Sicuramente abbiamo la responsabilità di prenderci cura del nostro pianeta blu. Il futuro dell’umanità, e in effetti di tutta la vita sulla Terra, ora dipende da noi».
Ma potenti forze politiche ed economiche si muovono per impedire la rivoluzione culturale e ambientale di cui il mobdo avfrebbe bisogno e Sir David Attenborough si è trovato per la prima volta in vita sua a fare i conti con una richiesta di “controllo dei fatti” sui contenuti di Blue Planet 2, Controllo superato ma dovuto al fatto che i dirigenti della BBC erano preoccupati che il documentario fosse «diventato troppo politicizzato», formula che sottintende che a qualche politico di governo non piace chje si parli troppo di global warming e marine litter.
Di fronte a questi attacchi, il produttore della serie, Mark Brownlow ha detto al Guardian che «E’ impossibile trascurare il danno causato negli oceani. Non potevamo ignorarlo: non sarebbe stato un ritratto veritiero degli oceani del mondo. Non andiamo in giro a fare campagna elettorale. Siamo semplicemente mostrando qualcosa ed è abbastanza scioccante. Gran parte del filmato girato durante la realizzazione della era troppo sconvolgente per la trasmissione, incluse le riprese con le scene di pulcini albatros morti per aver mangiato plastica». Ma la troupe della BBC ha anche girato le scene scioccanti del più grande e peggiore sbiancamento di massa di coralli della storia che ha colpito la Grande Barriera Corallina Australiana.
Jon Copley, uno scienziato dell’Università di Southampton, che compare nell’episodio finale di Blue Planet II, ha detto all’Evening Standard: «Quel che mi sconvolge di ciò che tutti i dati mostrano è quanto velocemente le cose stiano cambiando qui [in Antartide]. Ci stiamo dirigendo verso un territorio inesplorato». Lo show evidenzia anche l’effetto che l’inquinamento acustico può avere sulla vita marina, spiegando quanto i forti suoni prodotti della navigazione e dalle attività turistiche ostacolino e confondano i rumori naturali prodotti dagli animali per comunicare sott’acqua.
Attenborough mette in guardi gli spettatori anche sui pericoli del sovra sfruttamento: «Ogni notte vengono calati migliaia di chilometri di lenze da pesca: ce n’è abbastanza da avvolgere due volte il mondo». Ma Blue Planet II non è uno spettacolo triste: mostra anche quanto siano ancora meravigliosi il mare e il lavoro di chi lo protegge, come Len Peters, un ambientalista che a Trinidad è riuscito a mettere fine alla caccia alle tartarughe marine e che spiega che quando era un bambino era normale mangiare carne di tartaruga, ma la popolarità di questa carne aveva portato a solo 30 – 40 il numero di tartarughe nidificanti a Trinidad, ora dopo una vita passata a difenderle, secondo Peters le tartarughe marine di Trinidad sono più di 500.
Fonte: greenreport.it