Nelle “GUIDE” di BlueFood:GreenFuture ? (BFGF) si trova una paginetta di elogio alla Cozza e un invito al suo consumo al fine di ridurre l’impatto sullo sforzo di prelievo di specie ittiche nel Mediterraneo e con particolare riferimento al consumatore italiano.
La Cozza : Mitilo , Muscolo,Peocio, Mosciolo ( selvatiche e presidio Slow Food di Portonovo nel Conero ),Moullè de Bouchot ( Atlantico ,Nord della Francia) , tecnicamente identificata come Mithilus edulis (Atlantico e Mediterraneo) e M.edulis galloprovincialis ( Mediterraneo ), fà parte dei piatti della tradizione marinara e lungo le nostre coste è spesso un riferimento fisso e a” buon mercato” della ristorazione locale .
Il nostro mollusco è comunque molto apprezzato in tutta Europa (Francia,Spagna,Portogallo,Irlanda,Croazia, Grecia) e viene quasi acclamato a piatto nazionale in Belgio.
Ora per essere considerata un cibo a basso impatto sull’ecosistema marino, è indispensabile che la Cozza provenga da acquacoltura e quindi non deve essere oggetto di pesca, in modo da mantenere “intatto” l’ambiente costiero adiacente, dove il bivalve trova le condizioni ottimali di vita.
Esistono però situazioni particolari, come per i “Moscioli” del Conero ,presidio Slow Food gestito da poche famiglie locali che ne propongono un commercio attento al mantenimento e consumo della “risorsa” , mentre all’opposto e in particolare in Puglia, il prelievo indiscriminato e continuo della mitica Cozza pelosa (Modiolus barbatus) , analogamente a quello dei Ricci di mare, ha portato le rispettive popolazioni pressoche’ al collasso.
Noi ci soffermeremo sulla Cozza d’acquacoltura , ma inizieremo la storia da quella “selvaggia” di cui sindaci e politicanti del “ravennate” ne ostentavano la compiaciuta degustazione in sagre popolari con l’obiettivo di far passare il messaggio che le piattaforme marine di Agip/Eni non inquinavano le acque costiere ; anzi gli impianti in mare divenivano con i loro pali di sostegno e la zona d’ombra generata , un sito di alta valenza ecologica per produzione e rigenerazione della fauna marina (!!!?).
Periodicamente i pali di sostegno delle piattaforme venivano ripuliti dalle numerose Cozze che li ricoprivano e queste venivano poi sbarcate e direttamente offerte agli amatori senza alcun controllo, oppure anche riciclate da alcuni produttori che le miscelavano con quelle d’acquacoltura prima di essere commerciate.
Ecco quindi la Cozza diventare anche uno strumento di percezione della qualità e realtà delle acque in cui vive ; in Italia non è difficile che per interessi totalmente estranei alla salute alimentare dei consumatori , si mettano a disposizione del pubblico “false informazioni” vantaggiose solo per le lobbyes !
Nel nostro caso si è tentato di politicizzare pure le Cozze al fine di passare un messaggio tipo ” le piattaforme che estraggono idrocarburi fanno bene all’ambiente , come dimostra la bontà delle Cozze che si possono prelevare dagli impianti” .
Allora era in gioco un referendum sulla la dismissione delle piattaforme, fortemente voluto dalle popolazioni costiere , ma fortemente osteggiato dal petrolchimico e dal mentore Matteo # 1 che usò maldestramente il referendum , come uno studio di fattibilità per quello nazionale che avrebbe promosso successivamente.
Le piattaforme rimasero perchè non fù raggiunto il quorum e l’altro referendum promosso con passione dal Matteo #1 fallì clamorosamente l’obiettivo ,…. ma questo non è un argomento di nostro interesse, dovendo parlare di Cozze anche se a tutto campo.
Greenpeace ebbe allora (siamo nel 2016 ) accesso ai dati del Ministero per una trentina di piattaforme lungo la costa adriatica e fino alla Sicilia ; l’analisi dei dati rese di dominio pubblico l’alto livello d’inquinanti presenti nelle Cozze da piattaforma ( con ridotto inquinamento da microrganismi di origine fecale ) per la presenza di metalli pesanti e altri inquinanti cancerogeni o potenzialmente tali.
In seguito alla denuncia di Greenpeace che evidenziava la tossicità chimica delle Cozze da piattaforma, il consumatore del Nord andò nel panico e si pose la domanda : ” ma le Cozze sono inquinate e possono far male ?! ” .
Lo stesso volantino che trovate nelle guide di BFGF divenne un punto di discussione e fu valutato come poco opportuno propio nel momento in cui venivano resi pubblici i dati sull’inquinamento chimico delle Cozze “selvagge” prelevate dalle piattaforme ENI.
Nella realtà le Cozze commerciali , quelle che sono in offerta sui banchi dei supermercati e nelle pescherie , provengono tutte da acquacoltura e prima di essere messe in vendita sono sottoposte a controlli veterinari per presenza di patogeni provenienti da scarichi urbani.
Tutti i molluschi raccolti per la vendita , devono obbligatoriamente essere sottoposti ad almeno 24 ore di depurazione in acqua marina filtrata e corrente , prima che un privato ne entri in possesso, propio per minimizzare secondo le leggi vigenti la carica di potenziali patogeni.
Per l’inquinamento chimico per contro non esiste una procedura di legge che renda obbligatorie delle analisi di laboratorio e pertanto i dati disponibili in questo senso, possono evidenziarsi solo in casi particolari di segnalazione e in relative ricerche dedicate.
E’ utile qui rammentare che le Cozze hanno una poderosa capacità filtrante delle acque ,sia marine che salmastre, per cui la qualità delle acque in cui avviene l’attività d’acquacoltura non deve essere mai trascurata perchè se ci si può tutelare dall’inquinamento da microrganismi patogeni, non altrettanto avviene per l’ inquinamento industriale e il minimo da pretendere è che la Cozza viva e cresca “felice e grassa” lontano da questi insediamenti.
Ecco quindi che per il consumatore ” filo-cozzaro ” può essere interessante valutare la provenienza delle Cozze commerciali.
La distribuzione degli impianti di Miticoltura ,menzionando i siti più rappresentativi, è diffusa in modo non omegeneo lungo le coste italiane e la Sardegna ; si inizia dal Mar Ligure ( Lerici ) e poi lungo il Tirreno può essere citata Gaeta
Il Mar Adriatico offre la maggior produzione in percentuale e partendo da Trieste , si scende (Delta del Pò con la dop di Scardovari), si arriva alle Marche con i Moscioli “selvaggi” del Monte Conero per proseguire fino alla Puglia ( Lesina ) e poi Brindisi e sopratutto Taranto.
La Sardegna ha due siti di produzione : uno sulla costa orientale ( Olbia ) e l’altro sulla costa occidentale a Oristano.
Va’ poi detto che la presenza nei punti vendita risente anche dalle capacità produttive e dalla territorialità dei produttori, per cui al Nord Italia le Cozze mediamente o provengono dalla Sardegna o dal Delta del Pò.
Per essere più tranquilli nell’acquisto è consigliabile guardare la provenienza e la data di scadenza dei molluschi e qui puo’ essere opportuno dare un’occhiata alla qualità delle acque costiere, seguendo le annuali valutazioni che Goletta Verde di Lega Ambiente mette a disposizione, dopo aver analizzato campioni d’acqua per la presenza di potenziali patogeni e per le caratteristiche fisico-chimiche.
https://golettaverde.legambiente.it/mappa-monitoraggi/
Solo per fare un esempio le acque della costa orientale della Sardegna nella mappa del 2020 mostrano assenza di punti critici , per contro presenti nella costa occidentale e così dovendo scegliere fra un allevamento di Oristano e uno di Olbia, l’ultimo sembra essere più incoraggiante per l’acquisto.
Guardando lo stato di contaminazione delle coste è purtroppo evidente come nel Lazio ,in Campania e Calabria i siti inquinati siano molteplici, mentre in Puglia la situazione appare più confortante con alcune eccezioni per Bari e nel golfo di Golfo di Taranto .
La Sicilia non mostra un quadro favorevole per le acque , ma l’acquacoltura è praticata esclusivamente nel lago di Ganzirri ( Messina ).
Con questo criterio che riguarda l’inquinamento biologico delle acque è già possibile orientare le propie scelte, ma il problema non si esaurisce qui purtroppo ,perchè l’inquinamento degli organismi marini, come i molluschi che entrano nelle nostre abitudini alimentari non è limitato alla contaminazione batterica o da inquinanti industriali .
Negli ultimi anni è emerso prepotente il problema mondiale dell’inquinamento da PLASTICHE che dimensionalmente vengono distinte in MACRO , MICRO e NANO.
Le Micro e le Nano sono ovviamente generate dal degrado delle Macro ,ma anche dal rilascio diretto nella rete idrica di Microplastiche provenienti dal lavaggio di abbigliamento su base sintetica e dall’utilizzo di queste in prodotti di consumo come alcuni dentifrici e prodotti per cosmesi.
Se le Macroplastiche possono uccidere direttamente una volta ingerite Uccelli marini,Cetacei e Tartarughe,le Microplastiche e sopratutto le Nanoplastiche possono essere incorporate in tutti gli organismi marini a partire dal Plancton e quindi concentrarsi nella catena alimentare.
Organismi filtratori come le Cozze ne risentono particolarmente perchè in mare si comportano come filtri biologici e quindi l’accumulo di Micro e Nanoplastiche è ormai un problema emergente come dimostrano studi sull’accumulo nelle acque di tutto il Pianeta.
La situazione sembra aggravata dal fatto che Micro e Nanoplastiche potrebbero anche funzionare da trasportatori di agenti patogeni oltre che di inquinanti industriali rilasciati nell’ambiente marino!
Il Mediterraneo di suo non è messo bene per la concentrazione e dispersione di plastiche che del resto sono state rinvenute anche in Pesci pescati in profondità!
Come difendersi da questa calamità? Rinunciare ad alimentarsi è impraticabile e inoltre la contaminazione da plastiche riguarda anche i prodotti della terra come le acque minerali,il latte e i vegetali coltivati.
E le nostre deliziose e amate Cozze ? Bè per continuare a degustarle come meritano si potrebbe anche tener conto e mettere in sovrapposizione una mappa piuttosto recente delle acque nostrane pubblicata dal CNR da cui si rileva ad esempio l’elevata contaminazione nell’Arcipelago Toscano, ma per contro e favorevolmente livelli minimi nella costa orientale della Sardegna.
https://images.app.goo.gl/5GZu8usjtCbQ7AP48
Sorprendentementemente anche la regione del Delta del Pò non mostra alti livelli e tutto ciò perchè le correnti marine o fluviali potrebbero interferire con le diverse concentrazioni di Macro e Microplastiche.
La Cozza perfettamente garantita non può esistere ,ma si potrebbe prendere in considerazione una minima contaminazione da inquinanti industriali e quella presumibile dalle mappe ,per Micro e Nanoplastiche , dando per scontata quella batteriologica obbligatoria per legge.
Vi garantisco che BFGF non riceve ne richiederà compensi ai miticoltori di Olbia ,ma confrontando la mappa 2020 di Goletta Verde e quella sulle plastiche pubblicata dal CNR la scelta di quali Cozze cucinare pare evidente.
Ora fate anche attenzione che le Cozze appartengano alla varietà mediterranea , la galloprovincialis e non la cosidetta “spagnola” meno pregiata e saporita ( anche se più vantaggiosa da allevare ) e il gioco è fatto !
Celebrate la cucina sarda abbinandole alla “fregola” di grano duro, ma degustatele anche ” alla marinara” o gratinate al forno e avrete di chè essere soddisfatti.
Onore e gloria a Santa Cozza che filtra da sempre i nostri mari e anche se si attacca sempre propio come tale , è sopratutto un alimento popolare e rivierasco, distribuito in tutte le acque temperate del Pianeta e da sempre in grado di fornire indispensabili proteine a basso costo.
A TUTTA COZZA !
Roberto Di Lernia