Overfishing, inquinanti e cambiamenti climatici stanno avendo serie ripercussioni sulla pesca. Ma un altro tema cruciale è quello dell’acquacoltura, che secondo la Fao supererà il pesce pescato in mare entro il 2019.
A differenza della Cina, dove si allevano 57 milioni di tonnellate di pesce l’anno e se ne catturano 16 in natura, i numeri dell’Europa propendono ancora per la pesca selvatica: 4,8 milioni di tonnellate contro gli 1,2 dell’acquacoltura, anche detta piscicoltura. Un equilibro destinato però a capovolgersi, secondo quanto sostiene l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao): il pesce d’allevamento sta aumentando al ritmo del 4-5% l’anno ed è sulla buona strada per eclissare la pesca selvatica a livello mondiale entro il 2019.
Tale crescita dipende solo in parte dai gusti dei consumatori: ad aumentare costantemente, infatti, è la domanda di pesce impiegato per i mangimi e destinato proprio allo stesso pesce allevato. Audun Lem, vice direttore del dipartimento per la pesca e l’acquacoltura della Fao, conferma che tutto ciò avrà un impatto enorme sulla nutrizione, sulla sicurezza alimentare e sullo sviluppo umano.
Pesci d’allevamento
Il trend, come riportato dal Financial Times, ha spinto già molte imprese a puntare decisamente sul settore del pesce d’allevamento. Due anni fa Cargill, uno dei big four del settore agricolo mondiale, ha acquistato la Ewos, rifornitore norvegese di farina di pesce, per 1,35 miliardi di euro, mentre il conglomerato giapponese Mitsubishi ha pagato 1,4 miliardi di euro per la Cermaq, un’azienda norvegese che produce salmone.
È proprio il salmone il re dei pesci allevati: «Quando mangiamo un chilo di salmone in realtà stiamo anche mangiando 5 chili di pesce azzurro impiegato nei mangimi», spiega Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico di Slow Fish. «Per la prima volta nella storia l’uomo sta allevando animali carnivori, dei predatori. Tutto ciò sta producendo un impatto enorme sul nostro ecosistema: stiamo trasformando proteine a basso costo in proteine ad alto costo. Uno spreco di risorse assurdo».
Un problema generazionale
Il problema non riguarda solamente la fauna marina ma è anche generazionale, come raccontano i risultati della ricerca Ipsos Pescatori, un popolo nel popolo. Infatti, i giovani italiani figli di pescatori – considerando che il 67% delle imbarcazioni sono a gestione familiare – non vogliono più fare il lavoro dei padri e in futuro saranno sempre più sostituiti da giovani immigrati, spesso provenienti dall’Africa. Proprio da quelle terre che la pesca industriale sta impoverendo, lasciando senza lavoro migliaia di pescatori locali costretti a emigrare per cercarlo altrove.
I Paesi europei sono responsabili di questo impoverimento: l’Unione Europea infatti non si limita a pescare nei propri mari ma anche in quelli africani per mezzo di speciali accordi chiamati Apps, ovvero Accordi di partenariato per una pesca sostenibile. Secondo questi trattati, stipulati tra l’Unione e i Paesi terzi, ai Paesi membri viene data la possibilità di pescare in aree extra-europee in cambio di un contributo finanziario destinato, tra le altre cose, a “sostenere la pesca su piccola scala”. Lo dice il regolamento, lo stesso che riporta la seguente frase: «Le navi dell’UE possono sfruttare unicamente le risorse eccedentarie che il Paese partner non intende o non è in grado di pescare».
Eppure, come ammette la stessa Corte dei Conti europea in una sua relazione, «il concetto di eccedenza è molto difficile da applicare nella pratica, a causa dell’assenza di informazioni attendibili sugli stock ittici».
Si finisce così per «distruggere l’ecosistema di questi cosiddetti Paesi terzi tramite metodi di pesca industriali e molto invasivi, che poco lasciano ai pescatori locali» precisa Greco, che ha assistito durante il suo lavoro al depauperamento di queste terre, tra cui la Mauritania: nonostante le buone intenzioni messe nero su bianco nei patti, questo Paese si classifica al 135° posto della lista delle nazioni in base al livello di ricchezza economica. Decisamente poco per una nazione che si affaccia su una zona di mare considerata tra le più pescose del mondo.
Fonte: www.slowfood.it