Questa serie di considerazioni non hanno l’ambizione di definire nuovi standard sulle idee di “pesca sostenibile”, ma vogliono solo promuovere una discussione più documentata sulla realtà per cui chiunque voglia essere più rispettoso verso la vita marina… si trova poi ad affrontare, quando aggirandosi nei banchi pesce della grande distribuzione, voglia fare acquisti coerenti con l’idea che il pescato possa ancora essere sostenibile.
Greenpeace Italia, WWF e Slow Food hanno prodotto elenchi di specie che se acquistati stagionalmente, nella misura corretta, con imbarcazioni e tecniche di pesca a ridotto impatto ambientale, potrebbero essere la scelta consapevole di un “consumatore” che non rinunciando a consumare i prodotti della pesca ,voglia sentirsi meno coinvolto nel depauperamento irreversibile della biodiversità dei mari.
Basta fare un giro nei vari posti di distribuzione per verificare che a parte l’obblighi di legge di mettere in etichetta la specie, la provenienza e il metodo di pesca, tutto il pescato sia fresco e ancor di più se surgelato, proviene da tutti i mari del pianeta e men che meno da quello più vicino… il Mediterraneo! E’ un controllo che tutti possono fare e la vera scelta sostenibile potrebbe essere quella di non comprare più pescato!
Esiste poi un’altra componente determinante sulla selettività degli acquisti ,ovvero che il pesce debba essere snaturato della sua forma originaria e presentarsi idealmente come “sfilettato” e ovviamente senza spine. In pratica nelle grandi città si consuma tantissimo P Spada, Tonno d’importazione e anche carne di Squalo proprio perché la fetta di mare e divenuta la specie dominante nel piatto del consumatore. Con lo stesso processo selettivo specie come il Persico del Nilo (estremamente impattante sul piano etico e ambientale) vedono una continua risalita delle quotazioni al punto da superare anche pesci pescati localmente e sicuramente di pregio come l’Orata. Siamo al paradosso poi che in una piccola pescheria ligure le orate freschissime ….su richiesta della cliente vengano poi fatte sfilettare. A Milano questo scempio ,ma a costi elevati viene applicato anche a specie come Dentici ,Ricciole ,Scorfani in pescherie dove per queste tipologie non si scende mai sotto i 50 euro al Kg.
In sostanza nelle grandi città ,seguire le linee guida delle associazioni da sempre vocate alla difesa dell’ambiente è di fatto impraticabile e tutto ciò che arriva sui banchi e frutto di pesca industriale.
La piccola pesca locale difficilmente riesce ad essere remunerativa e molti sono i pescatori che non rinnovano la la licenza per la concorrenza che l’industria della pesca
ha esercitato ed esercita sulla loro attività. Alcuni si sono riuniti in cooperative accogliendo le richieste dei gruppi d’acquisto solidale (GAS) ,ma avere redditività con queste modalità rimane pur sempre aleatorio. Il piccolo pescatore sostenibile è un simbolo eroico in via di sparizione e in zone di eccellenza per le risorse marine come ad esempio nell’area marina delle Pelagie (Lampedusa, Linosa) o delle Egadi (Marettimo, Levanzo, Favignana) il passaggio dalla piccola pesca al pescaturismo è praticamente obbligato dal momento che portare in giro turisti rende di più ed è assai più comodo.
A Marettimo le barche che praticano la piccola pesca si contano sulle dita e a Linosa esiste una sola famiglia con licenza di pesca. Ecco però che chi non ha licenza di pesca …non rinuncia a pescare ,ma si dedica alla cattura quando il momento è favorevole, di specie remunerative come il P.Spada che non manca mai nei ristoranti locali. Entriamo o scivoliamo così nell’ambito della pesca illegale che in molte aree del sud Italia è normalmente praticata e senza particolari vincoli restrittivi da parte delle autorità . Ne consegue che il rispetto della taglia minima o il prelievo del rossetto/gianchetto (Liguria e Toscana) o della “neonata” (Sicilia) siano sempre possibili o per lo meno si potranno trovare comunque posti di ristorazione in grado di offrire queste prelibatezze del mare.
Voglio ora mettere in evidenza quello che a mio giudizio è emblematico e di come la situazione possieda anche elementi di complessità e irreversibilità, citando ciò che per la pesca lega fra loro Malta, Lampedusa e la dimenticata Linosa. I pescatori tradizionali di Malta sono fuori dal circuito che sto per descrivere e sono osteggiati al limite di estinzione dalla potente rete costituita dalla famiglia Azzopardi… che oltre ad avere il controllo di quasi tutto il pescato importato ed esportato dall’isola…pratica indisturbata il remunerativo ingrasso del Tonno Rosso ,avendo come target i mercati orientali . A Lampedusa esiste la cooperativa dei pescatori che muniti di naviglio idoneo vanno regolarmente a pescare nelle acque di Linosa …rimasta con una sola licenza di pesca! Cosa lega le due realtà? Bè i pescatori maltesi ,ma non quelli della piccola pesca, vanno in stagione a pescare Lampughe (Lampuki in maltese) all’interno dell’area marina delle Pelagie e a Linosa ciò è agli occhi di tutti! Tutto appare apparentemente tollerato e le imbarcazioni maltesi sono facilmente fotografabili. Non solo per pescare le Lampughe i maltesi usano una tecnica assai impattante per il Pesce Spada e per quelli che lo pescano da Linosa ….,ma senza avere la licenza per farlo. Dieci anni fa l’accesso tollerato localmente, ma vietato dalla legge era praticato dai Tunisini ora spariti a vantaggio dei maltesi.
Siamo in una zona eletta del Mediterraneo …il Canale di Sicilia ,ma dove per la pesca sembra di trovarsi in un autentico Far West del mare. Nessuno è a conoscenza del perché questo possa avvenire, ma sembra che in questi accordi non siano ininfluenti componenti siciliane da Mazzara del Vallo e da Palermo.
Concludo… amo queste isole e quest’anno in luglio mi trovavo a Linosa dove con maschera e pinne ho avuto un flash allarmante dello stato dei fondali intorno all’isola. Ben rappresentate le Cernie di piccola taglia e le Murene e ciò spiegava la difficoltà nell’incontrare il Polpo! Per il resto ….saraghi piccoli e spaventati,qualche triglietta e una moltitudine di Pesci Pappagallo ; da ogni parte fin quasi in superficie il Vermocane (un anellide dalle setole molto urticanti) la faceva da padrone!
Molto diverso da quello che avevo visto dieci anni prima nelle stesse acque e che ben rappresentava il concetto di area marina protetta.