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Pesca elettrica, l’Europa dice no

Uno stop alle lobbies della pesca, una vittoria per chiunque abbia a cuore la salute degli ecosistemi marini: si può riassumere così l’esito del voto con cui ieri il Parlamento Europeo si è espresso sul «divieto totale dell’uso di energia elettrica nella pesca».

La pesca elettrica in realtà era stata vietata fin dal 1998 con il regolamento 850/98, recepito anche dall’Italia. Già nel dicembre 2006, tuttavia, la Commissione Europea aveva proposto l’introduzione di una serie di deroghe “sperimentali”, recepite dal Consiglio dell’Ue.

Nonostante il Comitato Scientifico, Tecnico ed Economico per la Pesca (Stefc) non avesse mai approvato le deroghe, raccomandando al contrario di non concederne alcuna, la Commissione ignorò il parere degli esperti aprendo un buco nella rete legislativa di cui i pesci grossi della pesca industriale hanno approfittato in questi anni.

Si arriva così alla vicenda attuale, con due emendamenti di blocco promossi da Efdd, Verdi e Sinistre unite nell’ambito delle votazioni sulla modifica generale delle tecniche di pesca, con cui si punta ad accorpare una trentina di regolamenti attualmente in vigore anche per ridurre le catture di pesci giovani o in riproduzione e per tutelare l’ambiente marino.

La proposta è passata con 402 voti favorevoli contro 232 contrari e 40 astensioni, raccogliendo anche il consenso del grosso degli eurosocialisti di S&D, di circa un terzo degli europarlamentari del Ppe e del gruppo Enf. Ora il provvedimento complessivo sulle tecniche di pesca, ancora al centro di varie critiche nel mondo ambientalista, verrà negoziato con i governi europei.

Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico di Slow Fish, ha salutato il risultato politico a nome di Slow Food Italia: «La pesca elettrica non è solo una pratica crudele e devastante, ma aumenterebbe e di gran lunga le difficoltà per i pescatori artigianali, tutto a favore delle grandi lobby industriali». In questa occasione, insomma, «l’Europa ha messo il benessere del mare, dei pescatori e di noi tutti cittadini prima di quello delle lobby industriali».

Chi vuole la pesca elettrica?

La battaglia per la riabilitazione della pesca elettrica è stata portata avanti in questi anni soprattutto dalle flotte olandesi, che hanno investito milioni in attrezzature specializzate allestendo almeno 84 pescherecci a impulsi, più di qualunque altro Paese Ue.

Secondo la ong Bloom, la pesca olandese ha però usufruito di fondi europei a cui non avrebbe avuto diritto: «L’Olanda – dice la ong – per lo sviluppo della pesca elettrica, ha stanziato 5,7 milioni di euro di cui 3,8 milioni attinti da fondi europei (il 67% del totale) e rendicontati come fondi destinati alla “ricerca”, alla “sperimentazione” e a “migliori pratiche”».

Una tecnica crudele e insostenibile

Ma di cosa si tratta? In buona sostanza, di una tecnica che attraverso l’uso di elettrodi trasmette scariche elettriche nei fondali marini, provocando contrazioni muscolari nei pesci e costringendoli a risalire per essere raccolti con lo strascico.

Gli organismi viventi del mare subiscono le brutali conseguenze di questo trattamento sotto forma di fratture, lividi e ustioni. Ma anche gli ecosistemi dei fondali, devastati dalle grandi reti elettriche, pagano un prezzo inaccettabile.

Per queste ragioni il fronte dell’opposizione a simili tecniche, adottate finora in assenza di adeguate sperimentazioni scientifiche, ha raccolto non solo l’adesione delle ong che si occupano della tutela del mare – capitanate dalla francese Bloom – ma anche quelle delle associazioni di pescatori artigianali che si considerano vittime dei metodi imposti dalla grande pesca industriale.

In Francia oltre alle ong si sono mobilitati 120 chef e alcuni gruppi della grande distribuzione, mentre gli chef di Relais & Châteaux in tutto il mondo hanno sottoscritto un appello per la salvaguardia di quella che Olivier Roellinger ha definito «la più grande dispensa dell’umanità: il mare». In Italia l’appello ha visto l’adesione di grandi nomi della ristorazione come Emanuele Scarello, Antonino Cannavacciuolo, Alberto Santini, Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Alfonso e Ernesto Iaccarino, Anthony Genovese, Enrico e Roberto Cerea.

Fonte: slowfood.it

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