Forti tensioni in Piazza Montecitorio nella manifestazione dei pescatori contro l’articolo di legge sulla pesca illegale, mentre si va verso il blocco totale della pesca.
Se i pesci avessero partecipato alla manifestazione della scorsa settimana in Piazza Montecitorio, contro l’applicazione dell’articolo sul regime sanzionatorio in materia di pesca illegale, sarebbero stati dalla parte dei pescatori. E invece il teatrino che si è consumato durante l’incontro con i politici cavalcava l’onda del malcontento dei pescatori a fini elettorali senza tuttavia considerare la tutela delle risorse ittiche. Ma andiamo con ordine, leggendo qualche stralcio dell’articolo pubblicato venerdì sull’Unità a firma di Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico di Slow Fish, in attesa di approfondire questo e altri temi alla manifestazione di Genova, dal 18 al 21 maggio (programma on line dal 24 marzo nelle nostre pagine).
L’articolo 39 della legge 154 del 2016 vuole essere un deterrente alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, e legifera i reati che vanno in direzione opposta alla tutela delle risorse biologiche, secondo le linee guida dettate dai regolamenti europei. Secondo i pescatori dell’associazione “Marinerie d’Italia e d’Europa” le multe, da 1000 a 150 mila euro a seconda del reato (vedi in fondo all’articolo di cosa si tratta), sarebbero eccessive.
La questione vista a 360°
L’argomento “pesca” è certamente delicato e il comparto è fortemente in crisi da molto tempo. Per comprendere di più cosa stia accadendo, bisogna analizzare a 360° la questione. Da una parte il consumo è in aumento e quindi il mercato interno non ne soddisfa la domanda, per cui dobbiamo rifornirci sul mercato globale con prodotti di origine extraeuropea a basso costo e a discapito della qualità. Di contro il sovrasfruttamento delle risorse ittiche è ai limiti del collasso definitivo, mentre l’attività di pesca per molto tempo non si è curata del ciclo naturale delle risorse. Da una parte la lotta alla pesca illegale, attuata dalla Comunità Europea per riportare la pesca a un rendimento sostenibile che consideri il rinnovo naturale del “cibo selvatico”, dall’altra il regime sanzionatorio e la mancata retribuzione dei fermi di pesca relativi agli anni 2015 e 2016 e della cassa integrazione in deroga, per non parlare della fragilità del settore, tagliata fuori dai crediti. E in questo panorama non vanno sottovalutati gli effetti dei cambiamenti climatici sulla pesca e l’aumento dei rifiuti e degli impatti antropici nei mari.
Il teatrino della politica
I pescatori hanno ottenuto, nella giornata della manifestazione, un incontro con una delegazione del Ministro delle politiche agricole, e infine un accordo con il Governo, per la revisione delle sanzioni entro il 17 marzo. In questo frangente si è consumato un grottesco teatrino da parte di quegli stessi che hanno proposto le sanzioni ritenute eccessive in Commissione Agricoltura, appoggiati poi in fase di promulgazione sia dalle forze governative che da alcune rappresentanze dell’opposizione. Ebbene questi sono accorsi a difendere la causa dei pescatori, cavalcando l’onda del malcontento per scopi elettorali e promettendo l’abbassamento delle multe. E questo non giova a nessuno, ai pescatori in primis, che si ritrovano tra l’incudine e il martello e a essere merce di scambio sulla bilancia delle convenienze politiche e, soprattutto, alle risorse ittiche perché si potrebbe arrivare ad abbassare la guardia al problema dell’illegalità.
Diritto al lavoro VS tutela delle risorse ittiche
Questo corto circuito va rivisto e rimodulato evitando di porre in contraddizione la tutela dell’ambiente e la sostenibilità da una parte e il diritto al lavoro e alla sua dignità dall’altra. E la politica dovrebbe, oltre che sanzionare o no a seconda delle campagne elettorali in corso, comprendere che la riduzione del sovrasfruttamento delle specie ittiche e della pesca illegale, passa attraverso la necessaria salvaguardia del lavoro e del pescatore, che deve essere messo nella situazione di poter vivere, oltre che sopravvivere, punendo giustamente chi pratica l’attività commettendo illeciti, danneggiando non solo il bene comune “pesce”, ma anche chi pratica legalmente il proprio lavoro.
Verso il blocco totale della pesca?
E mentre si consumano discussioni opportunistiche, si è perso lo sguardo sul vero stato della pesca nel Mediteranno. Secondo il rapporto dell’Agenzia europea per l’Ambiente (EEA) dello scorso dicembre, il 90% degli stock ittici mediterranei è pescato al di sopra del rendimento massimo sostenibile definito dalle commissioni scientifiche. E all’orizzonte, c’è il 2020, l’anno del countdown, ossia l’ipotesi eventuale della chiusura totale della pesca da parte della Comunità Europea se gli stock ittici non ritornano per quel periodo al loro rendimento massimo sostenibile. Chiusura per la quale non è previsto alcun corrispettivo economico per gli operatori del settore. Conviene a tutti riporre attenzione sull’ultimo cibo selvatico. Al pescatore la cui vita dipende dal buono stato della risorsa, alla politica che deve cercare di ritornare a sentire le ragioni di tutti i lavoratori del settore ed essere meno astratta e più concreta, e soprattutto ai consumatori finali. Ed è a questi che bisogna dedicare più attenzione cercando di educarli a un consumo responsabile e meno disattento. Se proprio non si riesce a seguire la stagionalità della risorsa, se proprio non si riesce a fare a meno di rispettare le condizioni meteo che permettono o meno l’uscita dei pescherecci, se proprio non si può fare a meno di consumare pesce tutto l’anno, consiglio di rivolgersi a specie più sostenibili, quali i molluschi, come cozze, vongole e ostriche, che oltre essere gradevoli e nutrienti, rappresentano anche una scelta etica, più ecologica, rispetto al consumo di pesce e crostacei.
Ecco un elenco dei reati sotto accusa:
- uso di materie esplodenti e sostanze tossiche;
- pescare stock ittici per i quali la pesca è sospesa durante il fermo biologico;
- pescare specie per le quali sia definito un contingente di cattura, ossia i limiti definiti da commissioni scientifiche, e non esserne provvisti;
- pesca con attrezzi non autorizzati;
- pesca di esemplari di taglia inferiore a quella definita minima dai regolamenti;
- manomissioni alla registrazione allo sbarco;
- pesca del pesce spada e del tonno rosso, le cui quote per ogni Stato sono definite annualmente dall’ICCAT, la Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tunnidi Atlantici.
FONTE: www.slowfood.it